L’addio al calcio di Ariel Ortega, “el Burrito” incompiuto
Ci sono giocatori che altri si sono sempre limitati a fantasticare. Noi ne
abbiamo toccati con mano talmente tanti che un autentico fenomeno
come el Burrito partirebbe dalla quarta, quinta fila dei più grandi
blucerchiati della storia. Eppure Ariel Arnaldo Ortega un grande lo
era per davvero. Talento grezzo, testa calda, classe sopraffina. 31
partite, 9 gol e dirsi addio. Presto, troppo presto. In silenzio e
con le lacrime agli occhi per una caduta tanto crudele quanto
inattesa.
Senza la cabeza un po’ matta, senza gli eccessi, le notti brave e i gomiti
alzati, chissà che strade avrebbe preso quel riccioluto acrobata
della malinconia. Con il destro e le sterzate e i colpi in canna che si trovava avrebbe potuto fare
qualsiasi cosa. Eterno incompiuto, tutto gli riuscì soltanto a metà. Le
attese, le aspettative, i paragoni scomodi con Maradona: fardelli
pesanti sulla groppa dell’asinello di Ledesma, perennemente in bilico
tra vizi e virtù.
Oggi che gli anni sul passaporto sono 38, il cammino del piccolo 10 si chiama viale del tramonto. Gli ultimi passi con gli scarpini ai piedi. Stop, basta, carriera finita. Adiós calcio giocato. E allora
alziamoci in piedi, con negl’occhi ancora quel pallonetto che gelò Pagliuca – per la quarta volta –
sotto la Nord. Un ultimo applauso Burrito, per poco, forse
invano, ci hai fatto comunque sognare.
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