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Da Antognoni a Bianchi: storia di Walter Mazzarri

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Da Antognoni a Bianchi: storia di Walter Mazzarri

A Firenze volevano diventasse il nuovo Antognoni, a Livorno non volevano perdere la B e a Reggio Calabria gli hanno chiesto il miracolo: buona la seconda, buona pure la terza. E adesso la Samp.

01_mazzarri3San Vincenzo dorme adagiata sul Tirreno, lì dove inizia la Maremma: ad arrivare in centro, a Livorno, sono sessanta chilometri. Chilometri dolci, terre dove cibo, mare, calcio e vita si mescolano. Quei sessanta chilometri facevano di Walter Mazzarri uno straniero, quando l'androne dell'Armando Picchi di Livorno era pieno di tifosi e lui si ritrovava tra le mani la loro squadra: glielo dissero, gli dissero che avrebbe fatto meglio ad andarsene perché mica era capace, lui, di allenare in B, e Livorno e il Livorno erano cosa seria. Rispose che no, non se ne andava: aveva un presidente che lo stimava e pure la voglia di provarci. Sulla propria pelle. E poi suo padre gliel'aveva detto, quando aveva iniziato a giocare: «Sei bravo, continua così e finirai al Livorno». Vale lo stesso, in panchina: ci aveva preso. Quel campionato, 2003/04, Walter Mazzarri lo chiuse terzo. Livornese straniero adagiato sul Tirreno, aveva riportato Livorno e il Livorno in Serie A.

Responsabilità. Walter Mazzarri è il nuovo allenatore della Samp. Per dire: eredità mica da poco, quella che Novellino gli lascia. La promozione, la Uefa, la Champions League accarezzata, una stabilità da fare invidia. Roba che pesa, che può pesare. Mazzarri però non è il tipo da prendersela: come non se l'è presa quel giorno al Picchi, perché le responsabilità non sono quel che lo spaventa. Ha vinto a sessanta chilometri da casa sua e ha scelto Reggio, ha salvato la Reggina per due volte e alla terza l'ha fatto senza passare dal via, pescando tra le probabilità undici punti di penalizzazione, ingoiando e tirando dritto. E' un tipo schivo, gli piace lavorare e nel lavoro mette l'anima. Un giorno, ancora giocatore, andò da Renzo Ulivieri: «Mi piacerebbe fare l'allenatore». La testa era quella, si guadagnò qualche anno tra Napoli e Bologna: secondo, preparatore dei portieri, osservatore. Esperienze che formano, mesi e mesi che ne fanno l'allenatore che è ora.

Non Antognoni: Mazzarri. A Firenze, era un ragazzo, avevano nostalgia di Antognoni. E volevano diventasse lui, il nuovo Antognoni. Non era quella la sua storia: Pescara, Cagliari, Reggiana, cinque anni a Empoli e la prima (sì, storica) promozione; quindi anni di C al Licata, al Modena, poi Nola, Viareggio, Acireale e Torres. Centrocampista, non Antognoni ma Mazzarri. Bene lo stesso. Tanto la voglia era quella lì, allenare.

Il vantaggio dell'idea. Sul serio, per conto suo, comincia a Bologna con la Primavera. Va all'Acireale, in C2: nono. Poi Pistoia, C1: decimo. Livorno, B: già detto, terzo. E' lì che il salto è fatto, lì che vien fuori un allenatore capace di piegare schemi e moduli – li studia, li rinnova, li applica – a quel che gli passa il convento. E non si fa problemi a cambiare, ad accettare se quel che la lavagna dice il mercoledì alla domenica non viene uguale uguale: quell'anno, a sessanta chilometri da casa sua, passò dalle tre alle due punte, provò con una mezzapunta e trovò infine in Passoni la leva su cui smuovere il mondo di una città che ormai lo amava. Ha una teoria, dice che è il vantaggio dell'idea: «Quando i miei giocatori ricevono la palla, ovunque si trovino, devono avere almeno cinque soluzioni diverse. Il segreto è la rapidità di esecuzione delle varianti: è, appunto, il vantaggio dell’idea». Funziona. Quando decide di cambiare, a promozione fresca, San Vincenzo a quelli di Livorno non sembra più poi così lontana.

Il banco di Reggio. Reggio Calabria e la Reggina sono il banco che salta, la scala reale che entra all'ultima carta. Sono coincidenze che si fanno indizi che si fanno prove e verdetti. Si salva, gli smontano la squadra e si risalva, gliela smontano un'altra volta: con undici punti di penalizzazione, dicono in giro, prospettive non ce ne sono poi molte. Mazzarri non è mica tanto d'accordo, lui a tornare in B non è che ci stia: e lavora, lavora sulle gambe e sulle teste, allena i giocatori e ne allena le menti. Facile, ora, dire che con Bianchi e Amoruso mi salvavo anch'io: ma Bianchi in due anni (ginocchio sfasciato compreso) gol ne aveva fatti tre e non diciotto, e Amoruso (che a diciassette non c'era mai arrivato) era fermo ai quattordici di Padova, roba del secolo scorso. Numeri, d'accordo. E bravi loro, chiaro. Ma sarà pure che la squadra funzionava, se si sono ritrovati ad essere la miglior coppia d'attaccanti del campionato e se tutti gli altri, Mesto e Modesto in testa, hanno fatto miracoli? E se la squadra funziona, beh, un po' di merito pure all'allenatore bisognerà anche darglielo.

E ora il Doria. Walter Mazzarri ci arriva così, alla Sampdoria. Porterà la sua difesa a tre, probabilmente. Porterà la sua voglia di stare in campo, d'insegnare calcio e di studiarlo insieme ai suoi giocatori. Porterà un carattere forte, avrà in cambio un'eredità pesante suppergiù quanto quelle che lasciarono in tempi diversi Boskov ed Eriksson. Però a Livorno e a Reggio lo sanno: lui, Mazzarri, non è tipo da tirarsi indietro.

Walter Mazzarri: la scheda

Luogo e data di nascita: San Vincenzo (Livorno), 01/10/1961
Carriera da calciatore: Pescara (1981/82), Cagliari (1982), Reggiana (1982/83), Fiorentina (1983), Empoli (1983/88), Licata (1988/89), Modena (1989/90), Nola (1990/91), Viareggio (1991/92), Acireale (1992/94), Torres (1994/95)

 Stagione     Squadra     Piazzamento 
 2006/07  Reggina 14
 2005/06  Reggina 13
 2004/05  Reggina 13
 2003/04  Livorno 3 (Pro)
 2002/03  Pistoiese  10
 2001/02    Acireale 9 (Sub)

Walter Mazzarri alla Samp. Clicca qui per leggere il comunicato ufficiale.

Nella foto Pegaso, il nuovo allenatore della Samp Walter Mazzarri.

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