Gianluca Berti, ovvero la vita è una parata col sorriso
Sorriso sempre pronto, la battuta pure. Poi, in campo, si lavora. Gianluca Berti racconta e si racconta, nove anni dopo l'ultimo passaggio a Genova.
Non sai da dove cominciare, con Gianluca Berti. Trentanove anni, venti da professionista su e giù per i campi di mezza Italia, i capelli che se ne sono andati e un sorriso che è rimasto ad accompagnare parole e pensieri. Berti non parla, racconta: dalle mosche parate in un Samp-Prato di diciassette anni fa («C’erano Vialli, Cerezo, Mancini: io feci una partita strepitosa») al parmigiano nel tovagliolo di Flachi («Così quando si siede a tavola gli casca tutto addosso»); in breve, un campo ridotto a una porta e la vita presa in faccia, con allegria.
Il vecchio e il giovane. Gianluca Berti divide la camera con Salvatore Foti, cinquantasette anni (non) equamente divisi. «Me lo sono scelto apposta, Lillo – attacca il portiere -, così lui non rompe le scatole e io detto legge…». Resta il fatto che Berti è il più vecchio della Samp, e il ruolo qualche dovere lo porta: «Beh, mica ho niente da invidiare a Foti – attacca ancora lui, col sorriso aperto -… Però via, scherzi a parte è vero che essere il più anziano della squadra ti rende automaticamente un punto di riferimento per i più giovani: io accetto la cosa di buon grado, è da anni che cambio squadra e mi ritrovo in questa situazione… E poi vuol dire che qualcosa di importante in carriera allora l’ho fatto».
Io, Castellazzi e Di Gennaro. Tre generazioni di portieri, da Berti a Di Gennaro (classe 1987) con Castellazzi (31 anni compiuti in ritiro) nel mezzo. «Direi che il lavoro procede bene con tutti e due – racconta ancora il toscano -, io sono qua a disposizione loro e di tutti quanti. Castellazzi è bravo, con lui nessun problema; e anche Di Gennaro ascolta molto i nostri consigli e quelli di Gandini (il preparatore dei portieri, ndr): cresce bene».
Dopo Genova, niente. A Genova tutto è cominciato, a Genova tutto finirà: dal Genoa, prima squadra d’alto livello in carriera, alla Samp, dove arriva a fare il dodicesimo nove anni dopo aver lasciato la Lanterna: «Al Genoa sono grato, è stata la prima squadra che mi ha portato in alto – ricorda Berti -, ma non credo che l’aver giocato in rossoblu possa crearmi dei problemi. Tanto più che sono grato, e tanto, anche alla Samp che mi ha dato l’opportunità di restare in A ancora per una stagione. L’ultima, già: penso proprio di sì».
Novellino e Vieri. Due nomi di cui parlare, quelli del tecnico e dell’amico. Spiega Berti: «Del mister mi avevano parlato tutti descrivendomelo come un tipo sanguigno, e sicuramente è così. Ma in questi primi giorni di ritiro procede tutto bene, ho trovato una persona molto tranquilla. Vieri? L’ho sentito anche l’altro giorno, l’ho chiamato da amico: vedrete, gli resta ancora l’orgoglio del grande giocatore e secondo me ci tiene troppo a far vedere quanto vale».
1 e 99. Il 99 sulle spalle: «Così, senza un motivo particolare – dice ancora Berti -. Se posso prendere l’1 prendo l’1, quando lo trovo occupato scelgo il 99. Che, a dirla tutta, mi porta pure sfiga: a Torino mi son rotto dopo poche partite, con la Fiorentina alla prima… Però, campionato vinto in granata e Champions League in viola: se serve per la Samp, mi rompo volentieri anche quest’anno…».
Toscana mia. Il discorso sfuma via sulla terra, le origini: «Abbiamo ricreato il Granducato di Toscana, qui in ritiro – chiude Berti -. Ci sono io, poi Flachi, Pieri, Bobo sperando arrivi presto… Siamo in tanti, si parla in toscano e si scherza. Piccole cose, tipo il parmigiano nel tovagliolo di Flachi: perché lui rompe a tutti, bisogna metterlo un po’ a posto…».
Nella foto Pegaso, Gianluca Berti durante un allenamento a Moena.